DNA barcoding e mini-barcoding per il controllo del carrello della spesa
Oggi le analisi del DNA hanno un ruolo cruciale nel settore agroalimentare, la loro applicazione offre un valido aiuto nel miglioramento della sicurezza, della qualità e della sostenibilità dei prodotti.
Metodologie genetiche come il DNA barcoding o mini-barcoding sono infatti utilizzate per verificare l’identità delle specie usate nelle produzioni, per rilevare adulterazioni e contaminazioni, rintracciare prodotti allergenici o tracciare il percorso dei prodotti alimentari lungo la catena di approvvigionamento consentendo una rapida identificazione e il richiamo di prodotti contaminati o non sicuri.
Ad esempio, grazie alle analisi genetiche, è possibile distinguere diverse specie ittiche, garantendone la corretta etichettatura, identificare le specie vegetali utilizzate negli integratori erboristici, confermandone l’autenticità, e rilevare adulterazioni o sostituzioni di ingredienti di alto valore, come lo zafferano o il tartufo, con alternative più economiche.
Nonostante i suoi numerosi vantaggi, il DNA barcoding ha alcune limitazioni legate alla preparazione dei campioni, all’estrazione del DNA, alla completezza dei database e alla disponibilità di materiali di riferimento adeguati che devono essere affrontate per un’adozione più ampia e un’implementazione di successo.
Lo studio
Lo studio svolto dei ricercatori di FEM2-Ambiente e dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca nasce con l’obiettivo di identificare i flussi di lavoro migliori per l’identificazione delle specie nei prodotti agroalimentari in modo da poter ridurre le limitazione del DNA barcoding.
Lo studio prevede la definizione dei metodi di estrazione più idonei per le matrici alimentari, l’identificazione delle regioni del DNA più adatte per le diverse tipologie di prodotti (freschi, trasformati, ecc.) e la progettazione di coppie di primer nei casi in cui sia necessario.
Per il lavoro sono stati raccolti, in collaborazione con 38 aziende appartenenti a 5 diversi settori, un totale di 212 campioni: frutti di mare, prodotti botanici, agroalimentari, spezie e probiotici. Tra questi campioni possiamo trovare filetti di pesce, tisane, tartufi, conserve di pesce, prodotti trasformati, polveri, estratti vegetali, integratori alimentari, farine, ecc., Questi prodotti sono stati selezionati in modo da essere rappresentativi del carrello della spesa di un supermercato. Per tutte le tipologie di campioni è stato definito il flusso di lavoro più adatto e sono state inoltre progettate tre coppie di primer specie-specifiche per i prodotti ittici.
Le analisi sono state concluse con successo nell’88,2% dei casi. I risultati hanno mostrato una contraffazione nel 21.2% dei casi. I prodotti botanici (28,8%) presentano il maggior numero di non conformità, un valore in linea con la percentuale presentata da Ichim e colleghi, i quali hanno dimostrato che il 27% dei prodotti erboristici commercializzati nel mercato globale risultano adulterati, seguiti da spezie (28,5%), agroalimentare (23,5%), prodotti ittici (11,4%) e probiotici (7,7%).
Il DNA barcoding e il mini-barcoding si confermano quindi metodi veloci e affidabili per garantire qualità e sicurezza in campo alimentare. Tuttavia per identificare i contaminanti sono necessarie ulteriori analisi, come il Next Generation Sequencing (NGS).
Considerati i risultati di questo studio, l’analisi del DNA, come quelle effettuate da FEM2-Ambiente, forniscono un potente strumento per rilevare e identificare le non conformità nei prodotti alimentari commerciali, consentendo ai produttori e alle autorità di regolamentazione di intraprendere azioni appropriate per garantire la qualità e la sicurezza di questi prodotti.
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